16 Ott Il miglior olio della Campania. La produzione regionale e le aziende
UNA STORIA OLIVICOLA ANTICA, OGGI REINVENTATA, REINTERPRETATA E RINNOVATA DAI PRODUTTORI PIÙ ATTENTI E IMPEGNATI IN UNA PRODUZIONE SEMPRE PIÙ DI QUALITÀ. IL RACCONTO DI MARCO RIZZO, DELLE VARIETÀ DEL TERRITORIO E DELLA TRADIZIONE REGIONALE.
Poco più di un anno fa, insieme a Nicolangelo Marsicani di Morigerati, andavamo alla scoperta di un territorio che “detiene più della metà della superficie olivetata regionale, ma trae comunque poco reddito da questo settore per diversi fattori di tipo culturale”. Così raccontava il produttore, facendo luce su falsi miti e luoghi comuni (“Per esempio, in molti non credono si possa vivere di olio, e lo considerano un ingrediente marginale e non imprescindibile”). Oggi, a spiegare l’olivicoltura campana, quella del Cilento, è Marco Rizzo, giovane produttore che quest’anno ha inaugurato il nuovo frantoio aziendale con risultati notevoli. In una terra che continua a crescere dal punto di vista qualitativo, nonostante gli attacchi di mosca e le avversità climatiche (il gelo prima, la grandine e la siccità poi). Soprattutto, un territorio in cui continua ad aumentare l’interesse da parte dei ragazzi per l’agricoltura, che scelgono di riprendere vecchie attività di famiglia e migliorarle.
L’azienda
Persone come Marco, che nel cuore del Parco Nazionale del Cilento gestisce circa 3mila piante di ulivo su 20 ettari di terreno, in parte a conduzione biologica e in parte in conversione. Un’azienda che nasce dalla passione per la natura, che nel tempo si trasforma in studio, ricerca e dedizione, “ho affinato tecniche e sensibilità, dapprima con le olive e poi con l’olio”. Dando inizio a un audace lavoro di recupero di varietà autoctone, con conserve tradizionali, olive da tavola, patè, e diverse etichette di extravergine di livello.
Le cultivar
Rotondella e carpellese in primis, varietà tipiche della zona, insieme alla nostrale di Felitto, “diffusa nella Valle del Calore, di origini antiche ma per tempo dimenticata”. È proprio quest’ultima ad aggiudicarsi il premio per il miglior olio monocultivar nella guida Oli d’Italia 2018, con le sue note verdi di cardo, carciofo e sfumature balsamiche eleganti. “La nostrale è un’oliva nobile, con il suo amaro selvatico e il suo fruttato schietto”. Le altre due varietà, invece, restituiscono oli dai profili aromatici diversi ma complementari: “La rotondella, purché raccolta e lavorata in modo ottimale, dà origine a un extravergine dai profumi delicati di pomodoro verde ed erba falciata, mentre la carpellese gioca più sui toni della mandorla verde, con un amaro e un piccante presenti ma mai invadenti”.
La cura in campo e in frantoio
Caratteristiche tipiche, a patto che vengano lavorate e dovere. A cominciare dalla cura delle piante, “le buone pratiche agronomiche sono fondamentali per avere dei frutti sani”. Prima regola: “restituire alla pianta tutto ciò che le è stato sottratto”, per garantire un equilibrio naturale costante. “Le recenti tendenze in tema di potatura suggeriscono di sfoltire tutti gli anni piuttosto che intervenire con potature drastiche. In linea di massima, una volta riformata la pianta, cerchiamo di mantenere stabile il rapporto chioma-apparato radicale”. Si passa poi alla raccolta, e di conseguenza alla frangitura. Per questa fase delicata e cruciale, Marco utilizza un impianto a due fasi della Toscana Enologica Mori, “facile da mantenere, utilizzare e pulire”, con gramole verticali, “per contrastare – o quanto meno contenere – gli effetti ossidativi”. Ogni cultivar – ormai lo sappiamo – richiede tempi, temperature e cure diverse in base alla grandezza e durezza della drupa, il grado di inolizione (formazione dell’olio all’interno dell’oliva), di maturazione, il tempo di raccolta e via dicendo. E Marco lo sa bene, tanto che riserva a ogni varietà una lavorazione speciale: “Tutte le cultivar hanno bisogno di essere interpretate e capite per poter poi esprimere al meglio le loro caratteristiche organolettiche”. Difficile stabilire dei parametri di lavorazione fissi,“in qualsiasi caso, la più complessa è il leccino, che invaia in maniera fulminea, tendendo a creare delle emulsioni stabili che ostacolano la separazione dell’olio”.
L’annata futura
Col tempo e l’esperienza, aumentano le conoscenze e soprattutto si affina l’istinto del produttore. Anche l’olivicoltore più preparato, però, deve fare i conti con la natura. “La siccità prolungata dell’anno scorso ha destabilizzato le piante, gli oli sono meno profumati e mediamente più amari, perché la struttura della drupa ha risentito della disidratazione”. Ma l’ulivo è una pianta forte e vigorosa, “che si riprende in fretta”. Per la prossima campagna, la zona di Felitto al momento sembra promettere bene: “Ci vorrebbero giornate asciutte e ventilate in grado di diffondere il polline adeguatamente”.
L’olio in Campania: una tradizione da rinnovare
Giovane ma con le idee ben chiare, Marco dice la sua anche sulla produzione regionale: “Anche se può sembrare un paradosso, la nostra tradizione antica si è trasformata nel tempo in un ostacolo”. Una memoria storica profonda che ha determinato un ristagno nello sviluppo di tecniche e tecnologie in campo agronomico. “Abbiamo bisogno di cambiamenti, di un’olivicoltura certificata, trasparente, senza ombre”. E di innovazione, “tanta, a tutti i livelli. Servono specialisti, tecnici e consulenti, servono professionisti e conoscitori della materia”. Per poter conservare e rispettare la tradizione, ma elevandola a uno standard qualitativo più alto: “Non possiamo permetterci di rimanere fermi”.
Il Cilento dell’olio
Un appello sentito e condivisibile quello di Marco, che ci tiene a sottolineare anche che “alcuni degli olivicoltori migliori d’Italia sono campani”. Salernitani, per la precisione. Una provincia che sta facendo scuola nel resto del territorio, grazie agli addetti ai lavori più preparati e alle due certificazioni locali, la Dop Colline Salernitane e la Dop Cilento.Inoltre l’area maggiormente olivetata di tutta la regione, sta crescendo anche attraverso la buona comunicazione del prodotto: “L’Associazione Oleum, per esempio, sta facendo uno sforzo notevole per diffondere la cultura dell’olio buono in Campania e in tutta la Penisola. Un lavoro lodevole portato avanti da quasi 30 anni”.
Qualità/reddito: un rapporto inadeguato
Mai come nel caso di Marco, sorge spontanea la domanda circa il ritorno dei giovani alla terra: “Negli ultimi anni si sente spesso parlare dell’interesse dei ragazzi per il settore terziario, ma la verità è che l’agricoltura rappresenta per molti una tendenza da cavalcare il prima possibile”. La terra, però, non è solo una moda del momento, piuttosto una scelta di vita: “Se vogliamo che i giovani tornino davvero a fare i contadini, dobbiamo risolvere al più presto la questione del rapporto qualità/reddito. Un produttore deve essere libero di scegliere la strada della qualità senza doversi necessariamente accontentare di cifre basse”. L’obiettivo? “Sciogliere in fretta questo nodo, rendendo così il mondo dell’agricoltura più accattivante”.
fonte: Gambero Rosso