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Intervista rilasciata da Marco Rizzo alla giornalista de “la Città” Corina Strollo

Intervista rilasciata da Marco Rizzo alla giornalista de “la Città” Corina Strollo

Perché al giorno d’oggi un ragazzo che vive e studia in una delle città più belle al mondo decide di lasciarla non per fare un’esperienza all’estero, ma per ritornare in un piccolo paesino del Cilento e dedicarsi alla propria terra?
Perché bisogna camminare nella direzione dei propri sogni, altrimenti si perde l’incanto della vita. Andare a vivere a Roma mi sembrava la cosa più giusta da fare a diciotto anni: amavo la letteratura, la musica, mi incuriosiva tutto ciò che non conoscevo e sentivo ardere la meraviglia a ogni nuova idea.
Ho scelto di tornare in paese per  lo stesso motivo che mi portò in città. Intravedevo nella campagna un sentimento di libertà, di entusiasmo, estraneo ad ogni spiegazione, ma allo stesso tempo tangibile, vero.
Non mi sento cambiato dagli anni, magari imbrogliato dall’esperienza, ma tuttora convinto che fare il contadino sia un lavoro straordinario.

La tua azienda se non sbaglio è nata da una piccola proprietà (5 ettari circa) che produceva olio per il sostegno familiare. Com’è avvenuto il passaggio da produzione familiare a realtà imprenditoriale?
Ho iniziato con il coltivare gli uliveti di famiglia, quelli che ricordo da piccolo, quando a raccogliere i frutti si andava coi nonni e si tiravano a grappoli giù con le mani.
A poco a poco ho preso in gestione nuovi terreni e ho cominciato a coltivarli con metodo, confrontando i dubbi con tutto quello che avevo a disposizione: internet, contadini del posto, libri specializzati, aziende affermate e lunghe passeggiate nei campi.
Non ho ancora sentito lo stacco, il passaggio, l’evoluzione da contadino a imprenditore; avevo bisogno di farmi conoscere, di pubblicizzare i miei prodotti e così, per vendere in regola e non rischiare sanzioni, mi son dovuto concedere al fisco, alle tasse e al groviglio di norme contorte della burocrazia italiana. Una realtà imprenditoriale prevede la figura di un imprenditore, e essere un imprenditore implica qualcosa di più del semplice atto di produrre qualità.
Quattro anni fa mi sono procurato la fortuna di conoscere il Dott. Gaetano Avallone, uno dei massimi esperti al mondo di analisi sensoriale, è stata questa la svolta che ha dato slancio e vigore all’azienda…chissà che un giorno non diventerò anch’io un bravo imprenditore.

La produzione d’olio, così come gran parte del settore agricolo, poggia su tradizioni antiche. Come si riesce a coniugare la tradizione alla necessità contemporanea d’innovazione? Sei riuscito a trovare un punto d’incontro con chi, essendo più anziano, era legato a modi di fare e pensare l’agricoltura diversi?
Beh, si riesce con un po’ di intelligenza! Tradizione significa selezionare ciò che vale la pena tramandare; per coniugare tradizione e innovazione in un futuro migliore, bisogna conoscere e abitare le due stanze. Credo che innovare dal nulla o ancorarsi al passato sia squalificante nell’impresa come nella vita.
Mi sono sempre avvicinato alle persone più anziane con lo spirito di chi subisce la fascinazione di un racconto lontano, non mi interessa scardinare i modelli mentali di un contadino in pensione, nutro un profondo rispetto verso di loro, sono riusciti a consegnarci, con sacrificio e rassegnazione, la staffetta di un piccolo mondo incontaminato, e poi non mi piace impelagarmi in controversie e dibattiti, comunicare con l’esempio è molto più convincente in questi casi.

Il tuo rapporto con Felitto e il territorio del Calore…
Il mio legame con Felitto nasce da una simbiosi totale con le Gole del Calore, avevo dodici anni quando ho cominciato a trascorrere le vacanze fra le rapide e i sassi. Non ho più smesso. Col tempo, quello che era un divertimento estivo, un momento di gioco e di aggregazione, è diventato una vera e propria attività di servizi turistici che gestiamo con un gruppo di ragazzi da ben 18 anni.
Sono molto affezionato a questo fiume…“che mi ha visto nascere e crescere e ardere d’incosapevolezza”. Quando ripasso a memoria gli ultimi vent’anni non posso fare a meno di considerare quanto incisivo sia stato, nella mia formazione, il rapporto viscerale con la natura di questi luoghi.

Sempre più giovani under 35 decidono di dedicarsi al settore agricolo (sono circa 600.000 le imprese gestite da giovani, per la maggior parte situate al sud). Secondo te quali sono i motivi di questo boom e soprattutto quali saranno le conseguenze?
Molti giovani scelgono di rilevare l’azienda di famiglia perché le occasioni di lavoro altrove sono poche e sempre meno gratificanti, altri, incoraggiati dalla possibilità di avere accesso a un qualche finanziamento, scelgono di coltivare una passione o di sfruttare i terreni di famiglia per crearsi un lavoro che piace; andrebbe poi considerato che le grandi città sono diventate costose e affollate, insomma, sarebbero tanti i motivi in elenco, ma aspetterei a sventolare il boom di un ritorno all’agricoltura: per far rendere la terra in Italia occorre molta capacità e tanto sacrificio, al momento mi limiterei a parlare di tentativi e di opportunità.

Questo interesse dei giovani per l’agricoltura ha prodotto benefici non solo in termini economici, ma anche occupazionali incidendo sul tasso di disoccupazione. In tal senso la tua azienda ha nel suo piccolo dato opportunità a giovani del posto? Al momento quanti dipendenti hai?
Non sono ancora in grado di garantire una sicurezza economica stabile a uno o più dipendenti, però qualche progresso c’è stato: ho un collaboratore con contratto, l’aiuto della famiglia, degli amici, dei parenti e di un team di esperti che fanno capo al Dott. Avallone.

Il momento più difficile e quello più bello della tua esperienza d’imprenditore…
E’ questo il frangente più difficile, adesso. Sto facendo degli investimenti importanti, che al momento si reggono sull’entusiasmo e sull’intuizione: abbiamo spostato il laboratorio in una sede più grande, avremo un minifrantoio aziendale e una piccola sala degustazione.
Se provo ad immaginare qualcosa di bello mi viene in mente il futuro prossimo.

Il rapporto tra sacrifici e soddisfazioni è in attivo o passivo?
Nessun dubbio, ancora in passivo. La collezione di sconfitte e insuccessi inizialmente la fa da padrona. Dietro le belle parole di una guida, di un piazzamento a un concorso, di uno chef stellato o di un politico che vanta eccellenze, ci sono le difficoltà di compattare una squadra, le braccia provate la sera, le notti passate in frantoio, la stanchezza del giorno dopo, la fatica di non mollare la presa, le ansie del prodotto invenduto e una sottile malinconia post-raccolta che ci mette di fronte alla vita e ci segna il totale sul conto. Però non mi sento sfiancato, anzi, mi diverte la sfida continua a non perdere il controllo del gioco…scherzi a parte, non conosco altra strada che questa, per costruire un’azienda da zero, nelle mie condizioni attuali.

Dopo i riconoscimenti ottenuti con l’inserimento nella Guida Oli 2016 e Oli 2017 di Gambero Rosso, la classificazione al Secondo posto al concorso Extra-Sele e il posizionamento lo scorso anno tra i primi 5 Oli alla fiera Olio Capitale, quali sono i tuoi prossimi obiettivi?
Beh, l’obiettivo prossimo è sempre quello di riuscire a creare un’immagine dell’azienda tale da garantirmi un seguito di clientela che possa in qualche modo ricompensare questi anni di sacrificio. Per raggiungere questo traguardo bisogna partecipare ai concorsi, essere presenti sulle guide, organizzare degustazioni con chef e addetti ai lavori, partecipare a fiere ed eventi, insomma tutta una serie di tappe obbligate.

Hai mai avuto ripensamenti sulla tua scelta o il rimorso di non aver intrapreso una strada diversa?
No, nessun ripensamento, mi piace molto il lavoro che faccio.
Ogni tanto, nei momenti di solitudine, di intimità con le persone più care, mi lacrima il ricordo di quando sognavo di diventare un poeta, un cantautore, un artista di strada sempre in viaggio per il mondo…

Partendo dalla tua esperienza personale consiglieresti a un giovane di scommettere sul proprio territorio e sulle sue potenzialità agricole?
Consiglierei a un giovane di indagare a fondo le sue passioni, di calcolare bene le forze e di scommettere un poco alla volta, cercando il sostegno di gente capace. Bisogna essere un ragazzo di tempra speciale per tentare il successo da queste parti, e tre volte più motivati per recuperare lo svantaggio di partire per ultimi.

Secondo te l’agricoltura può rappresentare la chiave di volta per lo sviluppo del nostro territorio e in generale per l’Italia? Perché?
Sono fermamente convinto che una delle strade perseguibili per risollevare queste zone interne dalla loro condizione di marginalità, sia proprio quella di creare una sinergia tra i prodotti e il territorio: una sorta di simbiosi in cui il prodotto deve parlare del territorio e questo lo fa soprattutto attraverso la qualità, e il territorio deve parlare del prodotto.
La nostra agricoltura da sola non può reggere il peso di trent’anni anni in ritardo, bisogna pretendere una politica capace di chiamare a raccolta le associazioni di categoria e l’intero comparto turistico per fare squadra in direzione della qualità e dello sviluppo territoriale. Riguardo all’Italia, è difficile trattare l’argomento agricoltura in generale in poche righe, nel settore olivicolo posso dire che qualcosa si sta muovendo, fino a pochi anni fa non esistevano appassionati di oli monovarietali o consumatori che sceglievano l’extravergine in base all’intensità del fruttato, oggi le informazioni girano più velocemente e chi ha voglia di approfondire può farlo con maggiore facilità.